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Andrà adesso? Il tribunale ordina la ripresa del procedimento contro Malafaia per omofobia

Il pastore Silas Malafaia dovrà affrontare un processo per le dichiarazioni omofobe fatte nel luglio 2011 nel suo programma televisivo "Vitória de Cristo".

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La decisione è presa da 3° collegio del Tribunale regionale federale (TRF3), che ancora una volta ha respinto l'ennesimo ricorso di Malafaia, accogliendo la memoria dell' Procura Regionale della Repubblica della 3a Regione (PRR3).
 
In una causa civile pubblica, il Ministero pubblico federale (MPF) chiede al pastore di ritrattare "per incitamento alla violenza contro gli omosessuali" quando critica l'uso delle immagini dei santi sui manifesti di una campagna a favore dei preservativi durante il Parata dell'orgoglio LGBT di quell'anno.
 
La Procura chiede che la ritrattazione sia lunga almeno il doppio del messaggio omofobico.
 
Malafaia ha commentato così il programma: "I ragazzi del corteo gay hanno ridicolizzato i simboli della Chiesa cattolica e nessuno dice niente. Spetta alla Chiesa cattolica intromettersi su questi ragazzi, sai? Tirare giù il club contro di loro così questi ragazzi possono imparare (sic). È un peccato".
 
A Associazione Brasiliana di Lesbiche, Gay, Bisessuali, Travestiti e Transessuali (ABGLT) ha attivato il Ministero pubblico federale, che, al termine delle indagini, ha concluso proponendo l'azione legale.
 
"La pubblica ritrattazione mira al risarcimento naturale del danno, ricercando l'effettivo ripristino della dignità umana di coloro i cui diritti sono stati violati, avente anche la funzione educativa di dissuadere l'autore del reato dal riprodurre simili condotte", oltre a rimuovere l'effetto negativo della le loro dichiarazioni nei confronti di terzi nei confronti degli omosessuali, scoraggiando la violenza incitata dal loro discorso", ha affermato il procuratore regionale della Repubblica Eugênia Augusta Gonzaga, intervenendo in merito all'ultimo ricorso presentato dall'imputato.
 
Malafaia ha impugnato due volte la decisione della TRF3. Nel settembre dello scorso anno il tribunale federale annullò la sentenza di primo grado che aveva stabilito la cessazione dell'azione civile pubblica senza giudicare nel merito per “l'impossibilità giuridica delle richieste avanzate”.
 
La decisione di primo grado aveva ritenuto legittime le dichiarazioni di Malafaia perché libero esercizio di espressione garantito dalla Costituzione. "Entrare" e "mettere giù il bastone" erano considerati mere espressioni popolari di critica e non esattamente incitamento alla violenza.
 
Il 3° Collegio della TRF3, annullando la sentenza per la ripresa del processo in primo grado, ha affermato che "sono giuridicamente impossibili solo le pretese non coperte – anche in teoria – dall'ordinamento giuridico", cosa che non avviene come richiesto. dal Ministero Pubblico Federale nell’azione civile pubblica. "Se sia valido o meno è una questione di merito", ha concluso.

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